sabato 23 gennaio 2010

POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA: PEC-CATO CHE NON L’ABBIANO TUTTI

pec - posta certificata

Una volta c’era il telex.
Quelli della mia generazione, che hanno lavorato in un centro uffici negli anni ’80, lo ricordano perfettamente: una sorta di macchinona da scrivere, enorme, con una fessura in cui veniva perforata una banda (gialla) che era letta in un’altra fessura e qundi archiviata. Era uno strumento che si collegava ai CED delle Poste Italiane e che garantiva, proprio perchè le poste facevano da tramite, che una comunicazione fosse ricevuta integralmente a un corrispondente. Di più, tutte le copie delle transazioni venivano conservate per 10 anni, così da costituire prova tangibile dello scambio epistolare.
A volte era l’unico modo per inviare ordini, in tempo reale, anche in posti inaccessibili oltre la cortina di ferro o in Africa. E l’indirizzo era una sorta di acronimo della propria ragione sociale: il nostro era 430275 BUSCEN – I.

A distanza di 20 anni arriva la posta elettronica certificata che funziona in modo analogo. Si acquista una casella di posta apposita da un provider accreditato e da quel momento si può inviare (e ricevere) una comunicazione ad (e da) un’altra casella certificata con la certezza che la trasmissione avrà un valore legale. Il provider è obbligato a mantenere traccia della trasmissione per 30 mesi, così da garantire, come nel caso del telex, evidenza dello scambio. Per legge devono avere la PEC tutti gli ordini professionali, dalla fine dello scorso anno, tutte le società di capitale di nuova costituzione e, entro un paio d’anni, anche tutte le restanti società di capitali già costituite. Tutto ciò prenderà il posto della posta raccomandata.
Come si riconosce una casella di posta certificata da una normale: l’indirizzo è composto da nome@pec.provider.xx, dove “pec” identifica la casella certificata.
Se poi uno si vuole complicare la vita, e questo è il nostro caso, cambia completamente il vecchio provider di posta elettronica e sposta tutto presso un provider che possa gestire e ospitare, in modo personalizzato, questa casella. Per cui, al posto di un generico “@pec.provider.xx” ora abbiamo la nostra casella di posta elettronica certificata personalizzata.
Così da oggi, per qualsiasi comunicazione che debba avere un valore ufficiale potrete scrivere a info@pec.businesscenter.it.
Vabbè, direte, il solito esteta. Sì, avete ragione, ma in questo modo, cambiando il fornitore del server di posta (che per inciso è Aruba) ho ancora, come ai tempi del telex, un indirizzo personalizzato. E in più un sacco di altre cose personalizzabili secondo le mie necessità.
Perchè dicevo “PEC-cato che non l’abbiano tutti”? Perchè purtroppo quello che utilizziamo non è uno standard internazionale. Nonostante segua dei protocolli davvero rigidi, riconosciuti anche a livello internazionale, questo standard non vale se non per l’Italia. Ed è un vero PEC-cato perchè si potrebbe utilizzare uno strumento davvero flessibile e veloce evitando sprechi di tempo, denaro e carta.
Gianluca Pollesel

giovedì 14 gennaio 2010

IL PLAGIO, CHE TRISTEZZA!

Definizione.

PLAGIO: quando la tua risorsa viene copiata e ripubblicata su un altro sito internet, epurata da ogni riferimento a te come autore. Chi ha rubato testi e foto dal tuo sito presenta quindi ai suoi utenti l’opera fingendosene l’autore. Questo tipo di violazione colpisce in egual modo la PERSONA (violazione del diritto di paternità dell’opera) e il PATRIMONIO (conseguenti danni di immagine e perdita profitto). (fonte)

Chi mi conosce sa che durante la giornata passo molto, moltissimo tempo davanti al computer, come penso succeda per la maggior parte delle persone che lavora in ufficio, ormai. E quando finisco in ufficio, a volte anche tardino, arrivo a casa per la seconda razione. Eh sì, le dosi diurne, spesso, non sono sufficienti perchè le cose che faccio sono proprio tante.

Cosa faccio davanti al PC? Invento nuovi servizi, ricerco e sperimento nuove tecnologie, creo relazioni con colleghi in Italia e nel mondo. Fondamentalmente creo comunicazione per il nostro ufficio, il Business Center: testi per il sito, schede, articoli per il blog, prove di leggibilità, aggiornamento di mailing list e di social e professional network per la diffusione di nuovi servizi. E faccio ricerca di plagio.

Si, il plagio. Perchè si sa, a volte magari si è letto qualcosa, è piaciuto e lo si vorrebbe riportare in qualche modo utilizzzandone le essenze. E il riportarlo, questo qualcosa, dovrebbe essere fatto con un po’ di fantasia, adattandolo alle nostre sensibilità, alle nostre contingenze. Si sa mai. A me non piace passare per copione. Un copione è uno che non ha fantasia, che ha poca stima di quello che fa e soprattutto di sè stesso. Perchè se avesse stima prenderebbe delle iniziative invece di farsi cullare dalle parole degli altri.
Quando ricopio un testo sicuramente cito la fonte. Anzi, soprattutto con l’utilizzo di internet il citare una fonte, magari in un blog, mi dà modo di avere un aumento di visibilità dovuto allo scambio di link.

Perchè tutto questo discorso? Perchè ci risiamo. E’ successo un’altra volta.
Da un lato mi fa piacere, perchè penso di essere davvero in gamba. Una mente assolutamente originale, talmente originale e creativa che non può che essere copiata.
Dall’altra sono proprio deluso che qualcuno non possegga la capacità di creare un testo originale avendo a disposizione uno strumento flessibile e completo come la lingua italiana.
Parlo, ovviamente di un centro uffici arredati, un collega (di Reggio Emilia) che mi ha copiato in modo totale, pedissequo, deludentemente a-originale (non so se si possa dire ma rende l’idea) il contenuto di alcune pagine di uno dei miei siti. Per avere un’idea di quanto sia uguale ecco il risultato di Copyscape. Solo di una pagina: le parole evidenziate sono quelle copiate.
E non è il primo! La prima volta il “Fenomeno” (di Verona stavolta) mi ha copiato perfino tutta la grafica, i pulsanti, i menu e perfino l’appartenenza ad associazioni di cui, il “Fenomeno”, non aveva nemmeno mai sentito parlare.
E ora è successo nuovamente.

Per "proteggere" le mie pagine utilizzo uno strumento molto semplice. Si chiama Copyscape e una volta inserito il codice in tutte le pagine si ottiene la possibilità di tenerle monitorate , oltre ad avere la certezza della data di creazione.
Immaginate la delusione e la rabbia nel vedere copiata parola per parola, virgola per virgola e pure refuso per refuso il frutto di ore, giornate di ricerca, perfezionamenti, tentativi per realizzare qualcosa che sia leggibile, memorizzabile con parole semplici in un settore misconosciuto come quello della nostra attività.
Eppure c’è chi di arroga il diritto di prendere e ricopiare tutto senza prendersi la briga di cambiare qualcosa.
pensate, il primo che ho visto, il “Fenomeno” per capirci, al mio tentativo di far valere le mie ragioni mi dice senza un minimo di vergogna “Io ho commissionato il sito a un’agenzia e ho dato loro degli input”. Input, li chiama.
Un’ultima cosa: chi volesse reclamare la paternità di una pagina adducendo il pretesto di essere stato il primo a scrivere un determinato testo, farebbe bene a consultare “The wayback machine“, un sito che tiene traccia di tutte le pagine e d itutte le variazioni delle stesse di tutta la rete.

Mi resta, alla fine, la certezza di essere davvero una mente superiore, se paragonato a questi copioni.
Vergogna, dietro la lavagna!

Gianluca Pollesel

venerdì 8 gennaio 2010

IMPARARE DAL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO






Beh, sembra una di quelle frasi con cui un guru può aprire ad effetto un seminario sul karma.
Ma se caliamo questa affermazione nella vita di tutti i giorni possiamo trovare degli elementi di riflessione, sia per noi stessi che per quello che facciamo.


Mi capita spesso di pensare a quando è nato quest’ufficio. Lo faccio con uno spirito indagatore, per capire un sacco di cose.
Cerco le motivazioni che una volta, quando ancora l’affermazione dei servizi nella nostra società economica non era ancora così forte, poteva spingere un’azienda a servirsi del nostro Centro Uffici. E scopro che alla fine sono le stesse di adesso: la ricerca di efficienza.
Cerco di capire anche come nel tempo si siano evoluti i bisogni. Una volta la richiesta di servizi segretariali era incredibilmente forte: dattilografia, servizi fax, servizi telex, trascrizione di testi scritt a mano.
E per contro la necessità di immagine era minore, si perdonavano molte piccole cose, come fili volanti, sedie non sempre coordinate, improvvisazione nell’arredo. L’importante era che ci fosse il servizio.


Ora le cose sono molto cambiate. L’avvento dei computer ha stravolto compleamente ciò che una volta era il servizio che potevamo erogare. I clienti sono sempre più indipendenti, sanno maneggiare le tecnologie con molta disinvoltura. Con un laptop fanno tutto, a patto che ci sia “solo” una connessione internet. E, nonostante la necessità di un posto in cui fisicamente fermarsi sia inferiore, la richiesta di immagine e l’attenzione al minimo particolare rendono il nostro lavoro ogni giorno una sfida sempre più forte. Dobbiamo essere in grado, nonostante tutte le premesse, di proporre qualcosa prima che ci venga richiesto. Ed ecco che si ricercano tecnologie sempre più sofisticate, affidabili, immediate così da poter soddisfare, o generare, le necessità del cliente.


Verso il futuro guardando il passato. Sì, è uno scenario piuttosto complesso ma si può pensare che, nonostante molti indicatori facciano pensare che sarà sempre un posto promiscuo e a bassa permanenza, la richiesta di un bello spazio, accogliente e con del personale che accoglie in modo cordiale anche i propri clienti sarà imprescindibile. I servizi saranno sempre più veloci, liquidi e dovranno vestirsi sul cliente con maggiore flessibilità e interazione digitale.
In un prossimo articolo proverò a immaginare uno scenario futuribile a medio termine.


Nel repertorio del passato abbiamo trovato alcune fotografie che ho montato in un filmato che propongo.


Uno stimolo: guardare al passato per costruire il futuro.


Gianluca Pollesel